Andrew Gavin Marshall -
A seguito della strategia globale degli Stati Uniti che Brzezinski ha chiamato “i Balcani globali” il governo degli Stati Uniti ha lavorato molto attentamente con le ONG importanti per “promuovere la democrazia” e “la libertà” nelle ex repubbliche sovietiche, svolgendo un ruolo dietro le quinte nel fomentare quelle che sono chiamate “rivoluzioni colorate”, che mandano al potere leader burattini amichevoli per gli Stati Uniti e l’Occidentale, per promuovere gli interessi dell'ovest, sia economicamente che strategicamente.
La seconda parte di questo saggio “sulle origini della terza guerra mondiale”, analizza le rivoluzioni colorate come un chiave strategica nell'imposizione del nuovo ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti. “La rivoluzione colorata” o la strategia “morbida” di rivoluzione è una tattica politica segreta finalizzata ad ampliare l'influenza degli Stati Uniti e della NATO ai confini della Russia e perfino della Cina; seguendo in conformità uno degli obiettivi primari della strategia degli Stati Uniti nel nuovo ordine mondiale: contenere la Cina e la Russia ed impedire a qualsiasi potere di sfidare l’egemonia degli Stati Uniti.
Queste rivoluzioni sono illustrate dai mezzi di informazione occidentali come rivoluzioni democratiche popolari, in cui i popoli nelle loro rispettive nazioni chiedono maggiori responsabilità ed un controllo democratico dai loro leader despotici nei sistemi politici arcaici. Tuttavia, la realtà è lontana da che cosa questo linguaggio figurato utopistico suggerisce. Le ONG ed i mezzi di informazione occidentali, spesso finanziano ed organizzano i gruppi dell'opposizione ed i movimenti di protesta nel mezzo di un’elezione, generando l'impressione pubblica di frodi elettorali così da mobilitare i movimenti di protesta a chiedere che il potere venga ceduto al “loro candidato”. Così spesso accade che “il loro” candidato sia sempre il candidato preferito dall’occidente, di cui la campagna spesso è finanziata da Washington; e che propone le politiche e le condizioni economiche favorevoli ai neoliberali degli Stati Uniti. Alla fine, è il popolo che perde, poiché le sue speranze per il cambiamento e la democrazia sono negate dall'influenza che gli Stati Uniti esercitano sui loro leader politici.
Le rivoluzioni morbide inoltre hanno l'effetto di contrapporre protettorati degli Stati Uniti lungo i confini della Cina e della Russia, specificamente, come in molti dei precedenti stati del Patto di Varsavia alla ricerca di una più stretta collaborazione politica, economica e militare. Ciò aggrava la tensione fra l'occidente e l’asse Cina Russia; il che infine, conduce il mondo sempre più verso un potenziale conflitto fra i due blocchi.
La Serbia
La Serbia conobbe la “rivoluzione colorata” nell’ottobre del 2000, con il rovesciamento del leader serbo Slobodan Milosevic. Come riportato dal Washington Post nel dicembre del 2000, da 1999 in poi gli Stati Uniti avrebbero deciso “una strategia elettorale” importante per spodestare Milosevic, Consulenti finanziati dagli USA svolsero un ruolo cruciale dietro le quinte nella campagna anti-Milosevic, dal controllo dei sondaggi alla formazione di migliaia di attivisti dell’opposizione e contribuendo ad organizzare un conteggio parallelo estremamente importante per il risultato del voto. Gli studenti attivisti vuotarono 5000 barattoli di vernice spray sui muri delle città con graffiti contro Milosevic e attaccarono 2,5 milioni di adesivi con lo slogan ‘Sei Finito’, che poi divenne lo slogan della rivoluzione. E tutto a spese dei contribuenti americani”. Inoltre, secondo quanto scritto da Michael Dobbs sul Washington Post, “20 capi di opposizione hanno accettato un invito del National Democratic Institute con sede a Washington (NDI) ad un seminario all'hotel Marriott di Budapest nell'ottobre 1999”
È interessante notare che “alcuni americani coinvolti nella campagna anti-Milosevic rivelarono di essere informati sul coinvolgimento della CIA nelle operazioni elettorali, ma avevano difficoltà a capire cosa volessero ottenere.” Qualunque cosa fosse conclusero, non era particolarmente efficace. Il ruolo principale fu svolto dal Dipartimento di Stato americano e dalla Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID), l’agenzia del governo per l’assistenza straniera, due istituzioni che canalizzarono i finanziamenti attraverso appaltatori commerciali e gruppi senza scopo di lucro no-profit, come l’NDI (National Democratic Institute), che rappresenta il partito democratico americano, e l’IRI (International Republican Institute), la sua controparte repubblicana.
La NDI “ha lavorato a stretto contatto con i partiti di opposizione serba, l’IRI ha concentrato invece la sua attenzione su Otpor, che fungeva da spina dorsale ideologica e organizzativa della rivoluzione. Nel mese di marzo l’IRI pagò due dozzine di capi di Otpor perchè partecipassero ad un seminario sulla resistenza non violenta presso l’Hotel Hilton a Budapest”. Nel corso del seminario, “gli studenti serbi ricevettero istruzioni su come organizzare uno sciopero, comunicare con i simboli , sormontare la paura e come insidiare l'autorità di un regime dittatoriale”. [1]
Stando a quanto riportato dal New York Times, Otpor, il principale gruppo di opposizione studentesca, ricevette un flusso costante di denaro proveniente dal National Endowment for Democracy (NED), un’organizzazione finanziata dal Congresso per la ‘promozione della democrazia’. L’Agenzia americana per lo Sviluppo Internazionale (USAID) offrì denaro a Otpor, così come fece l’International Republican Institute, un’altra organizzazione non governativa di Washington finanziata in parte dall’USAID”. [2]
La Georgia
La Georgia conobbe la sua “Rivoluzione delle Rose” nel 2003, con la caduta del presidente Eduard Shevardnadze e l’insediamento di Mikhail Saakashvili dopo le elezioni del 2004. In un articolo del novembre 2003 su The Globe and Mail, era stato segnalato che una fondazione con sede negli Stati Uniti “aveva favorito la caduta di Shevardnadze” attingendo ai fondi della sua organizzazione no-profit con l’intento di “inviare un’attivista 31enne di Tbilisi di nome Giga Bokeria in Serbia e incontrare i membri del movimento studentesco Otpor (Resistenza) per apprendere come questi avessero provocato la caduta del dittatore Slobodan Milosevic servendosi di manifestazioni di piazza”. Nel corso dell’estate seguente, “la fondazione pagò il viaggio di ritorno agli attivisti di Otpor dopo che questi avevano tenuto corsi di tre giorni a più di 1.000 studenti in materia di simulazione di una rivoluzione pacifica”.
Questa fondazione con sede americana “aveva costituito un fondo per una stazione televisiva popolare di opposizione che è stata fondamentale nel mobilitare le masse nella cosiddetta “rivoluzione di velluto” e, si riporta che abbia offerto sostegno finanziario ad un gruppo di giovani che hanno trascinato la protesta in strada”. Il proprietario della fondazione “è in stretti rapporti di amicizia con l’avversario principale di Shevardnadze, Mikhail Saakashvili, un avvocato formatosi a New York che ci si aspetta vinca le elezioni presidenziali in programma per il prossimo 4 gennaio”.
Durante una conferenza stampa, una settimana prima delle sue dimissioni, Shevardnadze affermò che la fondazione degli Stati Uniti “è schierata contro il Presidente della Georgia”. Inoltre, “Giga Bokeria, che tra le fila del Liberty Institute ricevette denaro sia dalla fondazione americana che dall’Istituto per l’Eurasia, sostiene che altre tre organizzazioni hanno svolto un ruolo chiave nella caduta di Shevardnadze: il Partito del Movimento Nazionale di Saakashvili, l’emittente televisiva Rustavi-2 e Kmara! (Basta! in georgiano), un gruppo di ragazzi che ha dichiarato guerra a Shevardnadze in aprile dando inizio ad una campagna denigratoria con manifesti e graffiti sui muri che denunciavano la corruzione nel governo”. [3]
Il giorno seguente la pubblicazione dell’articolo precedentemente citato, l’autore pubblicò un altro articolo su The Globe and Mail, spiegando che la ‘rivoluzione senza spargimento di sangue’ in Georgia “odori maggiormente come un’altra vittoria degli Stati Uniti sulla Russia nel grande scenario internazionale del periodo post-Guerra Fredda”. L’autore, Mark MacKinnon, ha spiegato che dietro la caduta di Eduard Shevardnadze si trova “il petrolio sotto il Mar Caspio, una delle poche grandi risorse di petrolio al mondo relativamente ancora non sfruttate”, e quindi la “Georgia e il vicino Azerbaigian, che si affaccia sul Mar Caspio, presto cominceranno ad essere considerati non solo come paesi di recente indipendenza, ma come parte di un ‘corridoio energetico’ “. Sono stati infatti già definiti dei piani che porteranno alla costruzione di un imponente “oleodotto che attraverserà la Georgia verso la Turchia e il Mediterraneo”.
“Quando questi piani furono definiti, Shevardnadze era visto favorevolmente sia dagli investitori occidentali e che dal governo degli Stati Uniti. La sua reputazione di uomo che ha contribuito a porre fine alla Guerra Fredda diede agli investitori un senso di fiducia nel paese, e la sua intenzione dichiarata di spostare la Georgia fuori dall’orbita della Russia e verso le istituzioni occidentali come la NATO e la UE non fece altro che aumentare il suo credito presso il Dipartimento di Stato USA..
Gli Stati Uniti si mossero velocemente per offrire sostegno alla Georgia aprendo una base militare nel paese (2001) con lo scopo di formare le milizie georgiane ‘anti-terrorismo’. Questa base divenne il primo insediamento militare americano in una ex repubblica sovietica.
Ad un certo punto, però, Shevardnadze invertì la rotta e decise di abbracciare ancora una volta la Russia. Quest’estate infatti, la Georgia ha firmato un accordo segreto per una fornitura di gas per 25 anni con il colosso energetico russo Gazprom, che diventa così suo unico fornitore. Inoltre, ha di fatto venduto la rete elettrica del paese ad un’altra azienda russa tagliando fuori AES, una società che l’amministrazione USA aveva appoggiato per vincere l’appalto. Shevardnadze attaccò i manager di AES definendoli ‘bugiardi e imbroglioni’. Entrambe le trattative hanno dunque drammaticamente avuto l’effetto di incrementare l’influenza russa a Tbilisi”.
A seguito delle elezioni in Georgia, Mikhail Saakashvili, formatosi negli States e spalleggiato dal governo americano, salì alla presidenza e “vinse la giornata”. [4] Ci troviamo di fronte ad un altro esempio di come la geopolitica del petrolio e la politica estera degli Stati Uniti siano intimamente connesse. La tattica della ‘rivoluzione colorata’ è di vitale importanza nell’ottica degli interessi USA-NATO nella regione: ottenere il controllo sulle riserve di gas dell’Asia centrale ed evitare che la Russia espanda la propria zona d’influenza. Tutto questo deriva direttamente dalla strategia imperiale messa in atto dall’asse USA-NATO per l’instaurazione del nuovo ordine mondiale a seguito del crollo dell’Unione Sovietica. (Questa strategia è stata descritta in dettaglio nella prima parte del presente saggio: La strategia imperiale per il nuovo ordine mondiale – Le origini della terza guerra mondiale).
L'Ucraina
L'Ucraina ebbe la sua “rivoluzione arancione” nel 2004, in cui il leader dell’opposizione e capo filo-Occidentale Viktor Yushchenko è diventato il presidente, sconfiggendo Viktor Yanukovych. Come rivelato dal “The Guardian” nel 2004, dopo le elezioni contestate (come accade in ogni rivoluzione colorata), “i guerrieri della democrazia del movimento giovanile Ukrainian Pora hanno già conquistato una importante vittoria – qualunque sia il risultato di questa pericolosa situazione a Kiev”, tuttavia, “la campagna è opera degli Stati Uniti: un’operazione sofisticata e brillantemente ideata dai geni del mercato globale dell’Occidente, e che è stata utilizzata per nascondere elezioni truccate e rovesciare regimi non graditi in ben quattro paesi in quattro anni”.
L’autore, Ian Traynor, ha spiegato che, “la strategia adottata in Ucraina, finanziata e organizzata dal governo degli Stati Uniti con il dispiegamento di società di consulenza, sondaggisti, diplomatici, i due grandi partiti americani e le organizzazioni non governative, era già stata attuata in Europa a Belgrado nel 2000 per far cadere il regime di Slobodan Milosevic”. Inoltre, “l’Istituto Democratico Nazionale (NDI) del Partito Democratico, l’Istituto Internazionale Repubblicano (IRI) del Partito Repubblicano, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e l’USAID sono le principali organizzazioni coinvolte in queste iniziative a favore dei cittadini, così come la ONG Freedom House, oltre agli stessi finanzieri miliardari già coinvolti nella "Rivoluzione delle Rose" in Georgia”. Nell’attuazione delle strategie di rovesciamento dei regimi, “le opposizioni spesso riottose devono compattarsi dietro un unico candidato, se si vuole avere possibilità di scalzare il regime. Quel leader viene scelto sulla base di criteri di opportunità e di obiettivo, anche se lui o lei è anti-americano”.
“Freedom House e l’NDI del Partito Democratico”, prosegue Traynor, “hanno finanziato e organizzato ‘la più grande operazione di monitoraggio elettorale’ in Ucraina, coinvolgendo più di 1.000 osservatori appositamente istruiti. Essi hanno inoltre eseguito gli exit poll. Nel corso della serata di domenica, quei sondaggi davano Yushchenko in vantaggio di 11 punti prevendendo di fatto quello che sarebbe successo di lì a poco”.
Traynor continua:
“La Freedom House ed l’NDI del partito Democratico hanno finanziato il fondo ed organizzano “il più grande sforzo regionale civile di controllo di elezione” in Ucraina, facendo partecipare più di 1.000 osservatori formati. Inoltre hanno organizzato gli exit poll. Nella notte di domenica quello scrutinio ha dato al sig. Yushchenko un vantaggio dell’11 percento, incidendo di molto sull’esito finale.
Gli exit poll sono fondamentali dal momento che, comparendo inevitabilmente per primi e ricevendo ampia copertura mediatica, rivestono un ruolo importante nella lotta propagandistica contro il regime e costringono le autorità a dare subito delle spiegazioni.
La fase finale della strategia americana delle ‘rivoluzioni colorate’ prende in considerazione le contromosse da usare quando il leader sconfitto non accetta l’esito delle elezioni
[...] A Belgrado, Tbilisi, e adesso Kiev, dove le autorità hanno inizialmente cercato di restare aggrappati al potere, il consiglio era di rimanere freddi ma determinati e di organizzare manifestazioni popolari di disobbedienza civile, che doveva rimanere comunque pacifica nonostante il rischio di provocare la violenta repressione da parte del regime. [5]
Come ha spiegato Jonathan Steele in un articolo sul Guardian, il leader dell’opposizione Viktor Yushchenko, che contestò i risultati delle elezioni, “era primo ministro nel governo del presidente uscente Leonid Kuchma e alcuni dei suoi sostenitori sono anche legati ai gruppi industriali senza scrupoli che hanno gestito a loro vantaggio la privatizzazione dell’Ucraina post-sovietica”. Egli ha inoltre spiegato che i brogli elettorali sono fondamentalmente irrilevanti, infatti “la decisione di protestare sembra dipendere pricipalmente dalla realpolitik o dalla natura più o meno ‘filoccidentale’ e a favore degli interessi economici dello sfidante. In altre parole, coloro i quali sosterranno un programma economico neoliberista avranno il sostegno dell’asse USA-NATO, dal momento che il neoliberismo rappresenta il dogma economico internazionale alla base dei loro interessi nella regione.
Inoltre, “in Ucraina, Yushchenko ha ottenuto la benedizione dell’Occidente, oltre ai fiumi di denaro versato dai gruppi che lo sostengono, che vanno dalla organizzazione giovanile, Pora, a vari siti web di opposizione. In pratica, gli Stati Uniti e le altre ambasciate occidentali pagarono per avere quegli exit poll”. Questo chiarisce bene le idee circa l’importanza strategica dell’Ucraina per gli Stati Uniti, ‘che rifiuta di abbandonare la sua politica di guerra fredda per il contenimento della Russia cercando di attirare dalla sua parte tutte le repubbliche ex-sovietiche”. [6]
Un commentatore del Guardian descrive così l’ipocrisia dei media occidentali: “Due milioni di manifestanti anti-guerra che invadono le strade di Londra vengono politicamente ignorati, mentre poche decine di migliaia di persone nel centro di Kiev diventano ‘il popolo’ e la polizia ucraina, i tribunali e le istituzioni governative gli strumenti di oppressione”. Inoltre si rivela che, “enormi manifestazioni sono state organizzate a Kiev a sostegno del primo ministro, Viktor Yanukovich, ma in tv questo non è mai stato mostrato: se si parla dei sostenitori di Yanukovich è solo per ridicolizzarli, ad esempio per essere giunti in autobus. Le manifestazioni a favore di Viktor Yushchenko hanno invece luci laser, schermi al plasma, sofisticati sistemi audio, concerti rock, tende da campo ed enormi quantità di indumenti arancioni; ma nonostante questo continuiamo ad illuderci che si tratta di semplici manifestazioni spontanee.[7]
Nel 2004, la Associated Press riportò che, “l’amministrazione Bush negli ultimi due anni ha speso più di 65 milioni dollari in aiuti alle organizzazioni politiche in Ucraina, denaro che è servito a portare il leader dell’opposizione Viktor Yushchenko ad incontrare i leader degli Stati Uniti e organizzare exit poll che indicassero Yushchenko come vincitore delle elezioni”. Il denaro, affermano, “è stato incanalato attraverso organizzazioni come la Fondazione Eurasia o attraverso gruppi allineati con i Repubblicani e i Democratici del Congresso, i quali hanno organizzato le sessioni di training per gli elettori insieme alle associazioni per i diritti umani e le testate di informazione indipendente”. Tuttavia , anche i funzionari del governo “riconoscono che parte del denaro è servito ad aiutare i gruppi e i singoli individui che si opponevano al candidato di governo spalleggiato dalla Russia”.
Il rapporto afferma che alcune grandi fondazioni internazionali finanziarono gli exit poll, che secondo il presidente in carica furono ‘asimmetrici’. Tra queste fondazioni ci sono “la NDI (National Endowment for Democracy), che riceve i soldi direttamente dal Congresso, la Fondazione Eurasia, finanziata dal Dipartimento di Stato, e la Fondazione Rinascimento”, che riceve denaro dagli stessi facoltosi finanzieri, oltre che dal Dipartimento di Stato americano. Il coinvolgimento del Dipartimento di Stato americano dimostra che questi finanziamenti rientrano nei piani di politica estera degli Stati Uniti. “Altri paesi offrirono la loro collaborazione in queste operazioni. Tra questi troviamo Gran Bretagna, Paesi Bassi, Svizzera, Canada, Norvegia, Svezia e Danimarca”. In alcuni gruppi di finanziamento e attività in Ucraina furono coinvolti anche l’International Republican Institute e il National Democratic Institute, quest’ultimo presieduto in quel momento dall’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti Madeleine Albright. [8]
Nel 2004, Mark Almond scrisse per il Guardian dell’avvento del "Potere del Popolo", descrivendolo in funzione di ciò che stava accadendo in Ucraina. In particolare Almond scrisse che “i disordini in Ucraina sono presentati dai media come una lotta tra il popolo e le vecchie strutture di potere sovietiche. Il ruolo delle organizzazioni dell’Europa occidentale risalenti al periodo della Guerra Fredda è invece tabù. Se provi ad interessarti dei finanziamenti piovuti sulla sensazionale messa in scena di Kiev, le grida di rabbia che sentirai ti dimostreranno che hai toccato un punto nevralgico del Nuovo Ordine Mondiale”.
ed aggiunge:
“Durante gli anni ‘80, nell’organizzazione di quella che sarebbe diventata la rivoluzione di velluto del 1989 (Cecoslovacchia), un piccolo esercito di volontari – e, per dirla con franchezza, spie – ha collaborato alla promozione di quello che divenne il Potere del Popolo. Una galassia di fondazioni interconnesse tra loro e associazioni di beneficenza che spuntavano come funghi per trasferire milioni di dollari ai dissidenti. Il denaro proveniva prevalentemente dai paesi NATO e da finti alleati come la ‘neutrale’ Svezia.
[...] La sbornia del Potere del Popolo è una terapia d’urto. Ogni aggregazione civile viene descritta dalle testate giornalistiche ‘indipendenti’ occidentali come una rappresentazione della prosperità della regione euro-atlantica, purché la gente scenda in strada a manifestare. Nessuno si sofferma sulla disoccupazione di massa, il crescente abuso di informazioni riservate, l’aumento della criminalità organizzata, la prostituzione e l’impennata dei tassi di mortalità tra la popolazione degli stati dove vige il Potere del Popolo.
Con delicatezza, Almond spiega: “Il Potere del Popolo si rivela essere più favorevole ad una società chiusa che aperta. Si chiudono le fabbriche, ma, peggio ancora, le menti. I suoi sostenitori richiedono libero mercato su tutto, ma non sulle opinioni. L’ideologia corrente tra i pensatori del New World Order, molti dei quali sono ex comunisti, è il Leninismo di Mercato – cioè la combinazione tra un modello dogmatico economico e metodi machiavellici di afferrare le leve del potere”. [9]
Come riportato da Mark MacKinnon su The Globe and Mail, anche il Canada sostenne il gruppo di giovani attivisti ucraini denominato Pora, finanziando il movimento per ‘il potere democratico del popolo’. MacKinnon osserva che: “L’amministrazione Bush era particolarmente ansiosa di vedere un presidente filo-occidentale con l’obiettivo di assicurarsi il controllo su un importante oleodotto che va da Odessa, sul Mar Nero, a Brody, sul confine polacco”. Tuttavia, “il presidente uscente, Leonid Kuchma, aveva da poco invertito il flusso in modo che l’oleodotto trasportasse il greggio russo verso sud, invece di aiutare i produttori degli Stati Uniti nella regione del Mar Caspio trasportando i loro prodotti verso l’Europa”. Dall’analisi di MacKinnon emerge che i primi finanziamenti occidentali provennero dal Canada, anche se successivamente furono di gran lunga superati dagli stanziamenti statunitensi.
Andrew Robinson, ambasciatore del Canada in Ucraina in quel periodo, cioè nel 2004, “organizzava incontri mensili segreti con gli ambasciatori occidentali, dirigendo quello che lui chiamò ‘il coordinamento dei donatori’, costituito dai 28 paesi interessati a vedere Yushchenko presidente dell’Ucraina. Ma, alla fine, Robinson agì come semplice portavoce del gruppo diventando uno dei principali critici del governo Kuchma”. Il Canada inoltre, “finanziò dei discussi exit poll, realizzati il giorno stesso delle elezioni dal Razumkov Centre dell’Ucraina e altri gruppi, che mettevano in dubbio i risultati ufficiali mostrando la vittoria di Yanukovich”. Non appena il nuovo governo filo-occidentale si insediò, “fu annunciata l’intenzione di invertire il flusso dell’oleodotto Odessa-Brody”. [10]
Analogamente a quanto accaduto in Georgia, questo dimostra ancora una volta quali sono i reali interessi che gli USA e i paesi della NATO proteggono attraverso le cosiddette ‘rivoluzioni colorate’: contenere l’espansione russa aumentando la propria influenza sulla regione, nonché imporre il controllo da parte degli Stati Uniti e della NATO sulle maggiori risorse e i corridoi di trasporto della regione.
Daniel Wolf scrisse sul Guardian che: “Per la maggior parte delle persone che si sono radunate nella piazza dell’Indipendenza di Kiev, la manifestazione era sentita come spontanea. Essi avevano tutte le ragioni per impedire al candidato Viktor Yanukovich di arrivare al potere e non fecero altro che cogliere l’occasione che è stato offerta loro. Ma attraversando a piedi gli accampamenti nel dicembre scorso, era difficile non notare la precisione con cui erano state preparate le cucine, le tende per i dimostranti e i concerti, la professionalità delle cronache televisive e la capillare diffusione dei loghi arancioni che si potevano ammirare ovunque”. Wolf sostiene che, “gli eventi di piazza furono il risultato di un’attenta e segreta pianificazione resa possibile da una cerchia ristretta di uomini di Yushchenko nel corso di anni. La vera storia della rivoluzione arancione è molto più interessante della favola comunemente accettata“.
Roman Bessmertny, responsabile della campagna elettorale di Yushchenko, due anni prima delle elezioni del 2004, “organizzò corsi di formazione, seminari, lezioni pratiche condotte da esperti di legge e comunicazione per circa 150 mila persone. Alcuni che parteciparono a questi corsi erano membri dei comitati di elezione a livello locale, regionale e nazionale; altri erano osservatori elettorali, a cui non è stato insegnato solo che cosa dovessero monitorare ma soprattutto come dovevano registrarlo sulle videocamere portatili. Furono distribuite più di 10.000 videocamere, allo scopo di registrare gli eventi di ogni seggio elettorale.” Infine, è stata una complicata e ben congegnata campagna di pubbliche relazioni, orchestrata con pesanti finanziamenti. Lo sporadico concetto del “potere del popolo” applicato “al colpo di stato pacifico” nei media occidentali. [11]
La "Rivoluzione dei tulipani" nel Kirghizstan
Nel 2005, il Kirghizistan subì la sua “Rivoluzione dei Tulipani”, in cui il presidente in carica fu sostituito dal candidato filo-occidentale attraverso un’altra ‘rivoluzione popolare’. Come segnalava il New York Times nel 2005, poco prima delle elezioni di marzo, “un giornale d’opposizione pubblicò alcune foto che ritraevano un sontuoso palazzo residenziale destinato al presidente Askar Akayev, in quel momento molto impopolare nella nazione, suscitando una profonda indignazione e una sommossa popolare”. Tuttavia, va segnalato che “questo giornale era il destinatario delle concessioni del governo degli Stati Uniti ed era stampato da una tipografia gestita dalla Freedom House, un’organizzazione statunitense che si presenta come ‘una voce libera per la democrazia e la libertà in tutto il mondo”.
Inoltre, gli altri paesi che “hanno contribuito a sottoscrivere i programmi per sviluppare la democrazia e la società civile” nel Kirghizstan erano la Gran-Bretagna, i Paesi Bassi e la Norvegia. Questi paesi “hanno svolto collettivamente un ruolo cruciale nel preparare il terreno per la rivolta popolare che ha portato al potere i politici dell’opposizione”. La maggior parte dei finanziamenti proveniva dagli Stati Uniti, in particolare attraverso il National Endowment for Democracy (NED), così come attraverso il servizio tipografico della“Freedom House” o il servizio di traduzione per il Kirghizistan di Radio Free Europe/Radio Liberty, un’emittente filo-democratica”. L'istituto Democratico Nazionale (NDI) ha inoltre svolto il ruolo maggiore nell’erogazione dei finanziamenti, per i quali uno dei principali beneficiari disse, “sarebbe stato assolutamente impossibile avere successo senza quegli aiuti”.
Il Times ha ancora segnalato:
“Gli aiuti americani contribuiscono a finanziare i centri della società civile in tutto il paese in cui gli attivisti ed i cittadini possono incontrarsi, ricevere una formazione, leggere giornali indipendenti e persino guardare la CNN o navigare in Internet. L‘NDI (National Democratic Institute) d solo gestisce 20 centri che offrono sommari giornalistici in russo, chirghiso e in uzbeko”.
Gli Stati Uniti patrocinano l'università americana nel Kirghizstan, la cui missione dichiarata è, in parte, promuovere lo sviluppo della società civile e finanziare programmi di scambio culturale attraverso i quali studenti e leader di organizzazioni non governative vengono mandati negli Stati Uniti. Il nuovo primo ministro del Kirghizistan, Kurmanbek Bakiyev, è stato uno di loro.
Tutto quel denaro e le risorse umane impiegate hanno favorito negli ultimi la crescita delle forze di opposizione in Kirghizistan offrendo loro sostegno morale nel corso degli ultimi anni, così come le infrastrutture che hanno permesso di comunicare le relative idee alla gente chirghisa”.
Per quanto riguarda quelli “che non conoscevano il russo o non avevano accesso ai giornali, potevano ascoltare i sommari dei principali articoli pubblicati in lingua chirghisa su Radio Azattyk, un’emittente locale che fa capo al franchising di Radio Free Europe/Radio Liberty, broadcast finanziata dal governo USA”. Altri mezzi d’informazione ‘indipendenti’ sono stati finanziati per gentile concessione del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. [12]
Come il Wall Street Journal rivelò prima delle elezioni, i gruppi dell'opposizione, le ONG e i media ‘indipendenti’ del Kirghizistan stavano ottenendo ingenti finanziamenti dalla Freedom House, oltre che dalla Agenzia americana per lo Sviluppo Internazionale (USAID). Il giornale ha anche segnalato che, “per evitare di provocare la Russia e violare le norme diplomatiche, gli Stati Uniti non possono sostenere direttamente i partiti politici d’opposizione. Possono però organizzare una influente rete di ONG schierate a supporto della libertà di stampa, lo stato di diritto e delle elezioni pulite, quasi sempre inevitabilmente in contrasto con gli interessi trincerati di vecchi regimi autocratici”.
Come segnala ulteriormente il Wall Street Journal, il Kirghizistan “occupa una posizione strategica. Entrambi gli Stati Uniti e la Russia hanno basi militari nella regione. I cinque milioni di cittadini che vivono nel paese, principalmente di religione musulmana, sono intramezzati in una vicinanza tumultuosa fra Kazakistan, ricco di petrolio, il cui regime tollera poco il dissenso politico, il dittatoriale Uzbekistan, che ha posto un freno agli aiuti esteri e l’indigente Tagikistan”.
Nel paese, una delle principali ONG di opposizione, la Coalizione per la Democrazia e i Diritti Civili, ottiene il relativo finanziamento “dall’Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Esteri, una fondazione no-profit con sede a Washington costituita da fondi del governo degli Stati Uniti, e dall’USAID”. Altre fondazioni che sono coinvolte, sia attraverso il finanziamento che la promozione tecnico-ideologica (vedi: propaganda), sono il National Endowment for Democracy (NED), l’Albert Einstein Institute, Freedom House, e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. [13]
Il Presidente del Kirghizistan Askar Akayev si era riferito ad “una terza forza” che stava conquistando il potere nel suo paese. Il termine è stato preso in prestito da uno dei più prominenti think tank degli Stati Uniti, per il quale la “terza forza” è:
“… in particolare come le organizzazioni non governative sostenute dall’Occidente (ONG) possono promuovere i regimi ed il ricambio politico in tutto il mondo. La ripetizione formulata di una terza rivoluzione del “potere del popolo” nell’ex Unione Sovietica in poco più di un anno – dopo gli eventi avvenuti in Georgia nel novembre 2003 e in Ucraina nel Natale scorso – significa che oggi la zona ex sovietica ora somiglia all’America Centrale negli anni ‘70 e ‘80, quando una serie di colpi di stato guidati dagli Stati Uniti consolidarono il controllo americano sull’emisfero occidentale”.
Come ha riportato il Guardian:
“Molti degli stessi operatori di governo degli Stati Uniti in America Latina, hanno effettuato scambi commerciali nell’Europa orientale durante l’amministrazione di George Bush. In particolare Michael Kozak, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Bielorussia, che si è vantato in queste pagine nel 2001, che stava facendo esattamente in Bielorussia quello che già aveva fatto in Nicaragua: sostenere la democrazia“.
Ulteriormente:
“Il caso della Freedom House colpisce in particolar modo. Presieduta dall’ex direttore della CIA James Woolsey, la Freedom House è stata un garante importante della rivoluzione arancione in Ucraina. Nel novembre 2003 aprì a Bishkek una tipografia che stampava 60 riviste di opposizione. Anche se è descritta come indipendente, l’ente che la possiede ufficialmente è presieduto dal guerrafondaio senatore repubblicano John McCain, mentre l’ex consigliere alla Sicurezza nazionale Anthony Lake fa parte del consiglio di amministrazione. Gli Stati Uniti inoltre sostengono la radio e la TV d’opposizione”. [14]
Così ancora, la stessa formula è stata seguita nelle repubbliche centro-asiatiche dell’ex Unione Sovietica. Questa strategia della politica estera americana di promozione delle “rivoluzioni morbide” è gestita da una rete di Organizzazioni Non Governative americane ed internazionali e da think tanks. Promuove gli interessi della NATO, ma soprattutto quelli degli Stati Uniti nella regione.
Conclusione
Le rivoluzioni morbide o le “rivoluzioni colorate” sono uno stratagemma chiave nella realizzazione del nuovo ordine mondiale; promuovendo, attraverso la manipolazione e l’inganno, la strategia di contenere la Russia e controllare le risorse chiave. Questa strategia è importante per comprendere la natura imperialistica del nuovo ordine mondiale, in particolare quando si viene ad identificare quanto questa strategia sia ripetuta; specificamente in relazione alle elezioni iraniane del 2009.
La prima parte di questo saggio ha delineato la strategia imperiale messa in atto dagli USA-NATO per imporre un Nuovo Ordine Mondiale, in seguito al disfacimento dell’Unione Sovietica nel 1991. Lo scopo primario è stato circondare la Russia e la Cina per impedire il sorgere di una nuova superpotenza. Gli Stati Uniti dovevano agire come potenza egemone imperiale servendo gli interessi finanziari internazionali nell’imposizione del Nuovo Ordine Mondiale. La seconda parte del saggio si è invece occupata della la strategia imperiale degli Stati Uniti di utilizzare le “rivoluzioni colorate”, per promuovere gli interessi degli USA nell’Asia centrale e Europa Orientale, seguendo le linee politiche generali, descritte nella prima parte, di contenere la Russia e la Cina affinché non espandano la loro zona di influenza e possano accedere alle principali risorse naturali.
La terza e ultima parte di questo saggio analizzerà la natura della strategia imperiale per costruire un Nuovo Ordine Mondiale, focalizzando l’attenzione sull’aumento dei conflitti in Afghanistan, Pakistan, Iran, America Latina, Europa Orientale e Africa, ed il potenziale con cui questi conflitti possano far iniziare una nuova guerra mondiale contro la Cina e la Russia. In particolare andrà ad analizzare quanto accaduto negli ultimi anni, mettendo in risalto la natura crescente dei conflitti e la guerra nel Nuovo Ordine Mondiale (NWO).
La parte 3 esamina il potenziale per “una nuova guerra mondiale per un nuovo ordine mondiale.”
Andrew Gavin Marshall is a Research Associate with the Centre for Research on Globalization (CRG). He is currently studying Political Economy and History at Simon Fraser University.
Fonte: globalresearch.ca
[1] Michael Dobbs, U.S. Advice Guided Milosevic Opposition. The Washington Post: December 11, 2000: http://www.washingtonpost.com/ac2/wp-dyn/A18395-2000Dec3?language=printer
[2] Roger Cohen, Who Really Brought Down Milosevic? The New York Times: November 26, 2000: http://www.nytimes.com/2000/11/26/magazine/who-really-brought-down-milosevic.html?sec=&spon=&pagewanted=1
[3] Mark MacKinnon, Georgia revolt carried mark of Soros. The Globe and Mail: November 23, 2003: http://www.markmackinnon.ca/dispatches_georgia3.html
[4] Mark MacKinnon, Politics, pipelines converge in Georgia. The Globe and Mail: November 24, 2003: http://www.markmackinnon.ca/dispatches_georgia2.html
[5] Ian Traynor, US campaign behind the turmoil in Kiev. The Guardian: November 26, 2004: http://www.guardian.co.uk/world/2004/nov/26/ukraine.usa
[6] Jonathan Steele, Ukraine’s postmodern coup d’etat. The Guardian: November 26, 2004: http://www.guardian.co.uk/world/2004/nov/26/ukraine.comment
[7] John Laughland, The revolution televised. The Guardian: November 27, 2004: http://www.guardian.co.uk/media/2004/nov/27/pressandpublishing.comment
[8] Matt Kelley, U.S. money has helped opposition in Ukraine. Associated Press: December 11, 2004: http://www.signonsandiego.com/uniontrib/20041211/news_1n11usaid.html
[9] Mark Almond, The price of People Power. The Guardian: December 7, 2004: http://www.guardian.co.uk/world/2004/dec/07/ukraine.comment
[10] Mark MacKinnon, Agent orange: Our secret role in Ukraine. The Globe and Mail: April 14, 2007: http://www.markmackinnon.ca/dispatches_ukraine4.html
[11] Daniel Wolf, A 21st century revolt. The Guardian: May 13, 2005: http://www.guardian.co.uk/world/2005/may/13/ukraine.features11
[12] Craig S. Smith, U.S. Helped to Prepare the Way for Kyrgyzstan’s Uprising. The New York Times: March 30, 2005: http://query.nytimes.com/gst/fullpage.html?res=9806E4D9123FF933A05750C0A9639C8B63&sec=&spon=&pagewanted=all
[13] Philip Shishkin, In Putin’s Backyard, Democracy Stirs — With U.S. Help. The Wall Street Journal: February 25, 2005: http://www.iri.org/newsarchive/2005/2005-02-25-News-WSJ.asp
[14] John Laughland, The mythology of people power. The Guardian: April 1, 2005: http://www.guardian.co.uk/world/2005/apr/01/usa.russia
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